sabato 5 febbraio 2011

La morte del Cigno?


Mi capita di progettare nella mia mente articoli, raccolte di miei opinioni personali, descrizioni di personaggi, racconti, incipit, finali, aforismi, pensierini da poetastro dalle pretese elementari. Mi capita a molte ore del giorno, quando sono distesa o quando rivolgo la mia mente alle angosciose attività dello studio, del tirocinio, dell'intrattenimento sociale e/o virtuale.
Ed in una settimana aumenta il numero di cose, in quantità letterarie naturalmente, che potrei scrivere. Questa curva ascendente va di pari passo con titoli di canzoni che attirano la mia attenzione, soggetti o panorami che avrei voglia di fotografare, modelle su pagine di giornale che vorrei ritratte a lapis e poi gioiosamente colorare, romanzi di cui vorrei far tesoro.
Ma si è come estinta la mia voglia di mettermi lì e fare una a caso di tutte queste cose.

Mi spiego meglio: sono uscita dal vortice adolescenziale nel quale di mescolavano ormoni, religione, nichilismo, giochi psicologici da autistica, amori infelici, timidezza patologica e rabbia politica. Non sento più quel ribollire che mi creava una sorta di male psico-fisico e che rendeva lo sputare tutto su fogli di carta un mero bisogno fisiologico. Dalla seconda media al primo anno di università avrò riempito circa dieci arrabbiatissimi (e arrapatissimi) diari segreti, ho creato racconti con una prolificità quasi mensile che mi occupava intere nottate nel tentativo di trascrivere ciò che viaggiava nella testa per non scordarlo.
Adesso non ne ho più bisogno.
Vuoi perché gli ormoni sono ormai quelli di una persona adulta, ed anche le mestruazioni rispettano banalmente cicli di 28 giorni, privi di scuse abbastanza importanti per fare le preziose e farsi attendere oltre.
Vuoi perché le delusioni brucianti sono diventate acquisite disillusioni. Non mi capita più di accorgermi che il volto che guardavo anziché un volto fosse una maschera...ormai le maschere sono così ben riconoscibili per me. Non piango più dall'incredulità di fronte all'ingiustizia o all'angheria, anche subita in terza persona, e piuttosto che sopportare con sofferenza non do la soddisfazione al professore/al coetaneo stronzo/al parente bigotto/a chiunque si pari sulla mia strada di fermare il mio cammino. Che vadano in culo, insomma.
Cosa ho mai da sfogarmi, dunque?

Ma non c'è solo questo. Mi accorgo che non ho proprio alcuna voglia di farmi ascoltare "da voi". Negli anni della scrittura, avevo piacere di scrivere perché qualcuno di voi leggesse e poi mi dicesse cosa pensava del mio lavoro.
Ma adesso il pensiero di quando sia inutile condividere attraverso il mezzo della scrittura alcune cose che transitano qua dentro è così forte e ben radicato che fuga tutta la mia voglia di alzarmi, accendere il computer, faticare per dare origine a fiumi di parole di cui non sento più il fisiologico bisogno.
Mi lasciano indifferenti gli obblighi di cortesia, le carinerie tra conoscenti, le pacche sulla spalla di chi non ammette la validità delle opinioni altrui per eccessiva stupidità.

Da cosa è nata questa mia riflessione?
L'altro giorno pensavo a tutto ciò che accade in Egitto, che accadeva in Tunisia...moti di rivoluzione nati sul web grazie a persone che scrivono, domandano, leggono, propongono in massa. Una cosa che qui proprio non esiste. Eppure i nostri problemi sono proporzionatamente più piccoli. Perché non ci riusciamo? Facciamo l'esempio dell'eterno rompicapo dell'Università italiana: lo sappiamo, è inceppata, ingiusta, costosa, corrotta, primitiva, confusionaria. Sappiamo che il problema sono lo strapotere dei baroni, le raccomandazioni, familiari e non, l'organizzazione casuale dei corsi, lo sfruttamento di assistenti e studenti, la gerarchia che permette soprusi e fa sentire gli ordinari in genere in diritto di trombarsi anche tua nonna, i finanziamenti statali che finiscono negli stipendi dei notai che si occupano dei garbugli degli atenei, la considerazione pari a zero data a ricercatori...
Lo sappiamo. Lo sappiamo. Ma siamo sterili, accettiamo pur di non rimanere qui più a lungo di quanto sia sopportabile, perché pensare di andar contro tutto questo da soli equivale ad un suicidio. E' vero...ma perché siamo soli?
Io non ero così, avevo voglia di ascoltare e farmi ascoltare dagli altri, avevo voglia di scrivere e sputare su fogli di carta tutto quello che di questa realtà mi appannava la testa. E ora, cosa è successo? Mi si è inaridita la creatività? L'anatomia e la fisiopatologia si sono succhiati tutta la mia materia grigia? Sono soltanto troppo stanca per scrollarmi la sera e fare qualcosa di diverso da uno svago insulso come una chat piena di emoticons?

Nossignori. Questa nostra società di merda è fatta proprio così: ognuno dei suoi meccanismi di privazione, per funzionare, deve mortificare il singolo e fargli attribuire la sua perdita di felicità ad una sua colpa personale. Ma so benissimo di non essere io quella che ha commesso un reato contro sé stessa, perché i colori della fioritura, a sprazzi, li vedo ancora in questa mia testa. Mi capita ancora di comporre frasi poetiche mentre attendo il sonno, e poi al risveglio maledirmi perché non mi sono alzata dal letto per scriverle, visto che le ho dimenticate. Mi capitava a 14 anni, mi capita ancora, malgrado sia passato un maremoto di estrogeni.
Io so bene che questa società è improntata sulle persone che la abitano, sui loro magici, piccoli inquilini. Lo so bene che tutti gli stilosi borghesi italiani odiano chi toppa i test "escludi l'oggetto che non c'entra niente" perché ha un'intelligenza divergente, odiano chi colora il vestito dell'angioletto di rosso anziché d'azzurro, odiano chi acquisisce sapere IN MODO CRITICO, chi intravede la realtà che sta sotto all'apparenza e lo dichiara apertamente. Questi soggetti sono da sempre tacciati di pericolosità, isolati, bastonati, accidentalmente spruzzati di DDT mentre si disinfesta la siepe in giardino.

Non ho voglia di scrivere perché so che non mi vuoi bene, non mi comprendi, non mi accogli, popolo mio. Faresti di me carne da rogo, se costumi medievali te lo permettessero, e racconteresti la mia storia con uno sketch alla Monty Python, che sarebbe apprezzato perfino da nerd ed intellettuali.

In tutto questo, io mi ricordo del 1984 di Orwell, e lo uso per spiegare ancora una volta come io concepisco la "Contro-Correnza": nel finale di quel terribile libro, si capisce fin troppo bene che la stessa disobbedienza di coloro che tentavano di resistere al regime era funzionale e fondamentale al suo mantenimento. Perché: un regime basato sul consenso ha bisogno dei dissidenti da schiacciare.
Ebbene, io non ho intenzione di essere una dissidente figa e lamentosa, non spargerò diari ricolmi di urla di guerra. Guadagnerò i riconoscimenti, questo sì, rimanendo fedele a me stessa. E' questo quello che in realtà, o Musa Delle Società, tu vorresti impedire. Se rinunciassi a questo, pur potendomi sfogare scrivendo tutti i racconti del mondo, allora sì che mi farei schifo.

Ieri sera ho dichiarato: Mi faccio schifo. Pensavo di aver realizzato di essere come gli altri. Di accettare con sottomissione i dettami di un meccanismo sociale assurdo. Ma non è così, oh no. Finché avrò la forza di credere e ragionare, resisterò al lavaggio del cervello che vuol farmi vedere la mia moralità come in caduta libera. Ed è questo il modo, io credo, per continuare ad accrescerla sempre, pianino pianino, pur con la stanchezza di una studentità pesantemente gravata da tasse.

Nella buia notte che si dilunga, mi riscaldo stringendomi nel mio mantello segreto. E' tessuto di fili di voci e capelli amati. Formano ciuffi che riconosco al tatto delle labbra, perché baciarli è la mia gioia ed il compimento delle mie giornate. Li amo perché anche quando insegno loro, e loro dicono che non è raro, io imparo. Perché non soltanto accettare è un atto di volontà per il quale bisogna esercitarsi, ma anche essere SOGGETTO di questa accoglienza. E' una delle innumerevoli cose che non ho appreso da libri, documentari, riviste: dalle persone. Ed io conservo il tocco dei loro capelli: perché sì, io li amo.


(In conclusione, mi scuso. Mi sono accorta di quanto sono confusa a volte nell'esporre le mie opinioni e mal si comprende. Vabbè.)



2 commenti:

Lorenzo ha detto...

Un'esternazione così lunga e profonda meriterebbe una risposta all'altezza.
Purtroppo non sono bravo con le parole, per cui perdonami, ma dovrai accontentarti di un sincero "Non abbatterti".
Sappi però che non devi sentirti giudicata o accettata dalle persone che ti stanno intorno, ma solo da quelle che stimi :)

Unknown ha detto...

Mm...come dire...

Grazie per aver letto e per la risposta :)

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