lunedì 28 febbraio 2011

Cara sorella, tu mi eri così vicina quando appoggiavi la tua fronte al mio collo.

Per anni interminabili sei stata l'unico essere che ho accolto con piacere nel mio abbraccio, ho lasciato riposare su di me e con me, nell'abbandono dei sensi, dimentica di acido e spine.
Ed ora, ancora una volta tu, con l'incredibile forza che descrissi in temi dalle classi elementari agli anni del liceo, hai conquistato un nuovo primato.
Per la prima volta, io mi confronto con un'adolescenza non mia. Ricordo l'insaziabile terrore che annegava tutte le mie certezze, distruggeva progressivamente le gioie infantili. Adesso ho paura. Mi distruggerai, sorella?
Diventi rigida quando cerco di guadagnarmi un bacio che non mi è dovuto; io, in silenzio, sconto.
Non colgo l'istante in cui mi guardi, non so cosa pensi di me. Ho paura di essere l'insulsa risposta ad una delle tue domande al futuro, l'illustrazione scheletrica sul ventre di un tarocco, rivoltato dalle tue mani ormai più grandi delle mie.
So qual è la mia strada, io per fede la ritengo giusta. Quale ti immagini che sia?
Beh per me, banalmente, è sempre la strada da percorrere insieme.


domenica 27 febbraio 2011

The F World

Sento l'impellente bisogno di scrivere a proposito dell'essere Femmina.
Provo eccitazione e confusione, perchè come ho dichiarato in un precedente intervento, è molto tempo che non sento "la necessità" di scrivere. Non posso farne a meno in questo caso, perchè mi sento piena di dubbi, percepisco la mia capacità di comprensione offuscata, il mio libero pensiero soffocato. Il mio orgoglio biologico vacilla, ed ho voglia di non pensarci, non parlarne, come se avessi paura di trovarmi senza argomenti. Come se in qualche modo mi vergognassi di essere Femmina. Come se sentissi il bisogno di una giustificazione.
Tutto è iniziato quando sono uscita dal mio piccolo guscio femminile e mi sono confrontata in modo più profondo con l'universo maschile.
Ne ho compreso alcuni simbolismi e meccanismi che credevo semplici da inquadrare, banali rituali sociali. Ho scoperto che c'è qualcosa di molto complesso dietro alle passioni maschili: per fare un esempio, mi ha affascinato in qualche modo scoprire che il contatto fisico, la vista, l'immaginazione, "per loro", sono qualcosa che scatena intense tempeste biologiche. Le conseguenze di questo "ponte" mentale che parte dalle loro semplici mani e può finire in un immaginare bordello di Buenos Aires stracolmo di ballerine la cui pelle è insaporita dal tabasco è un fenomeno molto complesso, che mi pare davvero sottovalutato (e sfruttato al peggio, per giunta!)
In parole spicciole, mi sono resa conto di essere rimasta per lungo tempo relegata in una visione ristetta, colma di pregiudizi.
Non è un tentativo di lode e non ho intenzione di riabilitare i signori "XY" nei loro innegabili difetti di essere umani.
E' semplicemente una presa di coscienza e se vogliamo, un contr'ordine: smettila di essere un'arrogante suffragetta, che sbandiera convinzioni preconfezionate come i pacchetti che utilizzi in società per avere un certo successo, che comprendono un set completo di minigonna, eyeliner e macchinetta digitale per immortalare sorrisi che prima hai sfoggiato su Windows Live Spaces e ora sfoggi su Facebook, avida di commenti e pollici alzati. (*) Mi sono detta: osserva, studia, confronta, esprimi giudizi e ascolta quegli degli altri, con umiltà. Considera tutti i punti di vista, chiedi spiegazioni se non capisci, ma soprattutto: fatti delle opinioni tue.
Ed ecco che è scoppiato il Caos: sono confusa dalle donne. La mia immagine di un universo femminile complesso, imprevedibile, incompreso, rarefatto da questa società di uomini che vuole tener lontane le donne da posti di prestigio che saprebbero gestire meglio di loro con la loro superiore intelligenza è crollata come una frana. Tutto infranto, un meraviglioso affresco che profumava di conquiste per le quali ci fosse ancora da lottare, che potesse rendermi orgogliosa della mia condizione e potesse concedermi un po' dell'agognato diritto di fare la vittima si è trasformato in un disegnino mezzo sbiadito stampato sulle istruzioni inutili trovate dentro ad un Ovino Kinder.

I colpi bassi che le mie parisesso mi lanciano mi giungono da ogni fronte: dalla televisione in tutte le sue manifestazioni (film, telefilm, talk show, programmi comici, reality, cronache sportive, rubriche politiche o di attualità), dai libri (!!!) e dai giornali, dai siti internet, dai forum, dai blog, dai social network, primo tra tutti naturalmente Facebook, che potrebbe essere ribattezzato Noshame. Per non parlare della vita quotidiana. Episodi emblematici:
la mia cuginetta di 11 anni mi racconta che le sue compagne di classe si iscrivono a Facebook ed utilizzano come "foto del profilo" autoscatti in cui indossano solo mutande, reggiseno ed occhiali da sole.
Mia madre mi racconta di una sua collega che sfoggia ogni giorno una perfetta messa in piega, il volto senza dubbio curato da un estetista, le cosce ed il culetto tonico di chi fa sport e la prima cosa che ti dice, quando ti incontra la mattina è: Sai, non faccio proprio nulla per me stessa. Non ho mai visto un parrucchiere, un estetista o una palestra. Non uso mai un sapone delicato per la pelle all'aloe vera...pazienza, con tutto quello che c'è da fare, e la crisi...siamo tutte conciate così! Oppure, una mia cugina, laureata in farmacia e che adesso gestisce un ristorante di lusso di sua proprietà che si esprime a proposito di economisti egiziani ospiti paganti della struttura: quegli zingari giostrai mi prendono in giro quando vado a fare da sommelier...fissano i miei capelli biondi come maniaci e puzzano come capre.
La mia amica: sai sono stata tutta la sera immusonita e non ho rivolto la parola al mio ragazzo. Quello stronzo non riusciva proprio a capire cosa avevo. Ma si può essere più idioti? Così ho dovuto chiedergli esplicitamente: ti sei mai accorto che non mi hai mai detto che ho un bel culo?
Partiamo con l'elenco compresso: le Veline che registrano un messaggio di protesta contro Gad Lerner il cui succo è: invidioso arrapato, noi si guadagna bene, abbiamo il fidanzato bello e ci divertiamo, ma cosa vuoi dalla nostra vita? Belen Rodriguez che compare in qualsiasi pubblicità e ha ormai sostituito la Nonna Ace, le prime 69 pagine dell'inserto "D" come Donna di Repubblica in cui compaiono 40 donne più o meno nude con sguardi orgasmatici in varie pubblicità di borse/vestiti/auto/deodoranti/assorbenti, l'enorme cartellone pubblicitario nel sottopasso della stazione della mia città in cui compare david Guetta che indossa soltanto uno slip bordeaux dal quale svetta l'inconfondibile forma del suo pene, photoshop istallato sul computer di qualsiasi cristiano (uomo e donna) utilizzato solamente per sfumare la pelle, togliere le imperfezioni e far risaltare i colori degli occhi.
Devo continuare questo elenco, è più forte di me.
I catelloni pubblicitari, le buste, i depliant e i volantini della Gardenia che ispirano un egocentrismo e una concezione di sè come una sorta di Truccosina ( un bambolotto con un set di trucchi in dotazione per poterlo impiastricciare in vendita negli anni 90, ndr) specialmente nel periodo di Natale, le conoscenti che hanno smesso l'università ed invece che rimboccarsi le maniche per recuperare il tempo perduto e cercare lavoro come lavapiatti mandano un curriculum vuoto ai negozi cittadini di Guess, Rebecchi e Rebecca Pepe, le migliaia di pagine su FB e i miliardi di blog in cui ci lamentiamo di uomini vuoti, possibilità di lavoro scarse, vite vuote e noiose, spunti culturali nulli, televisione spazzatura, donne oggetto, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango, fango,
TANTO RILASSANTE APPAGANTE VITTIMISTICO E STERILE FANGO.

Ed ecco che il mio mito sull'intelligenza naturale divinamente concessa alle donne è crollato. Non è stato un errore dettato dall'orgoglio o da un sentimento di supremazia, è stata solo un'immaginifica ingenuità. Ed ora mi sento solo di dire una cosa, aiuto.
Chiedo aiuto.
Io chiedo a voi, femmine come me, se avete idea che nell'Antica Grecia la donna era considerata un essere inferiore incapace di resistere agli stimoli sensoriali, soprattutto sessuali, e per questo tagliata fuori da un sentimento d'amore più profondo che poteva quindi essere cercato solo nel rapporto uomo-uomo? Ma avete mai pensato che durante le guerre di tutte le età le vagine di tutte le nostre antenate sono state utilizzate come sollazzatoio da sovrani e mercenari, sono state scambiate con sacchi di farina da coloro che le avevano generate, sono state mutilate ancor bambine per impedir loro di provare piacere e scoraggiare un possibile adulterio, cosa che avviene tutt'oggi? Siete consapevoli del fatto che nel nostro paese abbiamo ottenuto il diritto di voto per la prima volta nel 1946? Per rendere meglio l'idea, soltanto 65 anni fa? L'età di una nonna, o di una mamma. Con una storia del genere, noi donne occidentali soprattutto dovremmo evitare di accontentarci dei soliti cliché.
E' vero che alcuni considerano tutt'ora la parola "femmina" come sinonimo di "menomata". E' vero, siamo l'oggetto, l'entità passiva a cui si applica il desiderio degli uomini, che sono più forti, sia socialmente che fisicamente, e questo spesso sfocia in prevaricazioni, perversioni, abusi da cui difficilmente possiamo scappare. Siamo noi a doverci somministrare gli anticoncezionali, noi a dover tenere i figli nel pancione per nove mesi e rischiare il licenziamento, noi ad essere spinte alla prostituzione dai nostri innamorati per guadagnare qualche soldo, noi a venir confrontate a modelle magrissime, noi a dover convivere con la continua accusa: "Vuoi fare troppe cose, non sei concentrata" perchè quando ci scegliamo una strada rimane scontato che dovremmo comunque occuparci di incombenze che non abbiamo scelto, come la casa, la cucina, i figli, i genitori, che costutuiscono obblighi che spesso ricadono per la maggior parte sul groppone femminile.
E' vero, e' vero, è tutto vero, lo giuro.
Però.
Odio il vostro atteggiamento attuale, donne. Lo trovo così diverso dal mio ed ancora una volta, come mi sono sentita tra gli alternativi, tra i politicizzati, tra i ribelli, tra gli artisti, tra i secchioni, tra gli studenti, tra i lavoratori, tra gli acculturati, tra i fotografi, tra i sopravvissuti, mi sento sola.
Non reggo questa CONTRADDITORIETA'.
Mi spiana la mente e mi lascia vuota, perchè non trovo una spiegazione a sillogismi del genere: sono un cigno nero come la pece della mia disperazione da quando mi hai lasciato mio grande amore unico, cavolo quanto è figo Corona, quella troia della mia vicina di casa va a giro conciata come una battona e la dà a tutti, per questo Carnevale voglio essere una diavolessa sexy, voglio vedere se caricando questa foto non gli faccio cambiare idea, Berlusconi è un porco, ci sono troppo rimasta male quando ho scoperto che aveva comprato il mio regalo ad un mercatino, io non vivo bene in questo mondo perchè sono troppo sensibile, non ho voglia di parlare o di vederti perchè questa situazione mi fa troppo male, stasera vado ad una festa con le mie amiche non mi aspettare alzata mamma, vorrei che avere le stesse possibilità che hanno i miei colleghi di lavoro maschi, la cosa migliore che mi è capitata questo mese è aver scoperto questo bagnoschiuma miracoloso della Dove, la vita è troppo ingiusta, ti penso sempre angelo mio da quando sei volata via, hai guardato Amici ieri sera?
Mi scoppia il cranio. Non capisco. Ma davvero pensiamo che si possa lottare in queste condizioni?

Mi torna in mente Orwell: il regime, in senso lato, ha bisogno del ribelle da schiacciare. Un certo tipo di ribelle, conforme alle regole della ribellione che vigono in ogni società.
Un bandito che ruba. Una donna che si lamenta e si consola guardandosi allo specchio dicendosi: però guarda quanto so' bella/misteriosa/tormentata/pazza/lussuriosa etc.
Non faccio altro che spiegare e rispiegare alla gente che vuole sapere chi sono, cosa faccio e da dove vengo che io sono una fuorilegge, ma non una fuorilgge che infrange la legge. Non una ladra che ruba. Non un'assassina che uccide. Sono un po' come Socrate che come estremo atto di protesta si attenne alle leggi della città di Atene e bevve la cicuta, facendo il culo a tutti i supponenti Aristofane del mondo. Quindi, vi prego, donne, smettetela di fare le donne.
Per carità, basta parlare di gossip sulle barricate prefabbricate, che ci aggradano da secoli. Forse, in questi tempi di grande comodità, ci soddisfano meglio che in altri periodi. Perchè un'omertà del genere non si era mai vista.
Io non sono un'iconoclasta, potrei sopportare la Canalis e la panterona praticamente nuda che scopre le caselle nel noiosissimo programma dello sguaiatissimo Enrico Papi. Ma il completo appiattimento su ruoli sociali banali, che non fanno altro che perpetrare ed amplificare l'ingiustizia, da parte di persone che si ritengono intelligenti non posso soffrirlo.
Lasciatevelo dire, siete delle oche. Non perchè siete donne, semplicemente perchè siete papere e non esseri umani pensanti. Vi piacciono il laghetto e le bricioline di pane che vi vengono tirate dai visitatori, che siano clienti, corteggiatori o utenti di facebook.
Mi vergogno molto di questa situazione.
Tuttavia, conosco bene la forza e l'attrattiva di queste trappole. E' appagante come poco galleggiare in una passività dai fianchi di violino e i capelli profumati di balsamo Pantene. (per altri modelli di donna, possiamo sostituire il balsamo con l'unto della consunsione dell'animo tormentato, con le meches di una colorata ribellione eccetera, eccetera...)
La società ha inventato mille scarpe per farci star comode al nostro posto.
Diciamo basta. Sarebbe la prima cosa che potrebbe stupire i nostri prevaricatori. Tutto il resto, è scontato e già compreso nei servizi dei telegiornali del futuro.
Vivo nella speranza che muteremo, un giorno, con l'ausilio di un intelligenza per ora ritenuta di secondo piano, da un'Ofelia che svanita galleggia su uno stagno, intonando filastrocche da bambini, in una Jane Eyre che parla "da spirito a spirito" con il suo amante e padrone e corre libera per la brughiera della vita.


http://www.facebook.com/notes/così-parlò-sherazade/lamenti-ingentiliti-da-una-forma-di-donna/205811849432886

(*) Intermezzo: Eh sì, anche l'apprezzamento è diventato rapido e non necessita più di alcuno sforzo, da parte di chi cerca l'approvazione e chi la dispensa: basta caricare, visionare velocemente e cliccare. Ma questo è un altro, triste discorso.

domenica 13 febbraio 2011

Intanto, a Viareggio...

Da viareggina, mi sorge una metafora pensando a certe domeniche: come quando sento il botto di inizio del Corso di Carnevale ed immagino la confusione della folla che si sfoga in ordinata confusione, in maschera, tutti colorati e vinti dal divertimento. Io sono qui, sento il botto da lontano, per me non cambia nulla.




sabato 5 febbraio 2011

La morte del Cigno?


Mi capita di progettare nella mia mente articoli, raccolte di miei opinioni personali, descrizioni di personaggi, racconti, incipit, finali, aforismi, pensierini da poetastro dalle pretese elementari. Mi capita a molte ore del giorno, quando sono distesa o quando rivolgo la mia mente alle angosciose attività dello studio, del tirocinio, dell'intrattenimento sociale e/o virtuale.
Ed in una settimana aumenta il numero di cose, in quantità letterarie naturalmente, che potrei scrivere. Questa curva ascendente va di pari passo con titoli di canzoni che attirano la mia attenzione, soggetti o panorami che avrei voglia di fotografare, modelle su pagine di giornale che vorrei ritratte a lapis e poi gioiosamente colorare, romanzi di cui vorrei far tesoro.
Ma si è come estinta la mia voglia di mettermi lì e fare una a caso di tutte queste cose.

Mi spiego meglio: sono uscita dal vortice adolescenziale nel quale di mescolavano ormoni, religione, nichilismo, giochi psicologici da autistica, amori infelici, timidezza patologica e rabbia politica. Non sento più quel ribollire che mi creava una sorta di male psico-fisico e che rendeva lo sputare tutto su fogli di carta un mero bisogno fisiologico. Dalla seconda media al primo anno di università avrò riempito circa dieci arrabbiatissimi (e arrapatissimi) diari segreti, ho creato racconti con una prolificità quasi mensile che mi occupava intere nottate nel tentativo di trascrivere ciò che viaggiava nella testa per non scordarlo.
Adesso non ne ho più bisogno.
Vuoi perché gli ormoni sono ormai quelli di una persona adulta, ed anche le mestruazioni rispettano banalmente cicli di 28 giorni, privi di scuse abbastanza importanti per fare le preziose e farsi attendere oltre.
Vuoi perché le delusioni brucianti sono diventate acquisite disillusioni. Non mi capita più di accorgermi che il volto che guardavo anziché un volto fosse una maschera...ormai le maschere sono così ben riconoscibili per me. Non piango più dall'incredulità di fronte all'ingiustizia o all'angheria, anche subita in terza persona, e piuttosto che sopportare con sofferenza non do la soddisfazione al professore/al coetaneo stronzo/al parente bigotto/a chiunque si pari sulla mia strada di fermare il mio cammino. Che vadano in culo, insomma.
Cosa ho mai da sfogarmi, dunque?

Ma non c'è solo questo. Mi accorgo che non ho proprio alcuna voglia di farmi ascoltare "da voi". Negli anni della scrittura, avevo piacere di scrivere perché qualcuno di voi leggesse e poi mi dicesse cosa pensava del mio lavoro.
Ma adesso il pensiero di quando sia inutile condividere attraverso il mezzo della scrittura alcune cose che transitano qua dentro è così forte e ben radicato che fuga tutta la mia voglia di alzarmi, accendere il computer, faticare per dare origine a fiumi di parole di cui non sento più il fisiologico bisogno.
Mi lasciano indifferenti gli obblighi di cortesia, le carinerie tra conoscenti, le pacche sulla spalla di chi non ammette la validità delle opinioni altrui per eccessiva stupidità.

Da cosa è nata questa mia riflessione?
L'altro giorno pensavo a tutto ciò che accade in Egitto, che accadeva in Tunisia...moti di rivoluzione nati sul web grazie a persone che scrivono, domandano, leggono, propongono in massa. Una cosa che qui proprio non esiste. Eppure i nostri problemi sono proporzionatamente più piccoli. Perché non ci riusciamo? Facciamo l'esempio dell'eterno rompicapo dell'Università italiana: lo sappiamo, è inceppata, ingiusta, costosa, corrotta, primitiva, confusionaria. Sappiamo che il problema sono lo strapotere dei baroni, le raccomandazioni, familiari e non, l'organizzazione casuale dei corsi, lo sfruttamento di assistenti e studenti, la gerarchia che permette soprusi e fa sentire gli ordinari in genere in diritto di trombarsi anche tua nonna, i finanziamenti statali che finiscono negli stipendi dei notai che si occupano dei garbugli degli atenei, la considerazione pari a zero data a ricercatori...
Lo sappiamo. Lo sappiamo. Ma siamo sterili, accettiamo pur di non rimanere qui più a lungo di quanto sia sopportabile, perché pensare di andar contro tutto questo da soli equivale ad un suicidio. E' vero...ma perché siamo soli?
Io non ero così, avevo voglia di ascoltare e farmi ascoltare dagli altri, avevo voglia di scrivere e sputare su fogli di carta tutto quello che di questa realtà mi appannava la testa. E ora, cosa è successo? Mi si è inaridita la creatività? L'anatomia e la fisiopatologia si sono succhiati tutta la mia materia grigia? Sono soltanto troppo stanca per scrollarmi la sera e fare qualcosa di diverso da uno svago insulso come una chat piena di emoticons?

Nossignori. Questa nostra società di merda è fatta proprio così: ognuno dei suoi meccanismi di privazione, per funzionare, deve mortificare il singolo e fargli attribuire la sua perdita di felicità ad una sua colpa personale. Ma so benissimo di non essere io quella che ha commesso un reato contro sé stessa, perché i colori della fioritura, a sprazzi, li vedo ancora in questa mia testa. Mi capita ancora di comporre frasi poetiche mentre attendo il sonno, e poi al risveglio maledirmi perché non mi sono alzata dal letto per scriverle, visto che le ho dimenticate. Mi capitava a 14 anni, mi capita ancora, malgrado sia passato un maremoto di estrogeni.
Io so bene che questa società è improntata sulle persone che la abitano, sui loro magici, piccoli inquilini. Lo so bene che tutti gli stilosi borghesi italiani odiano chi toppa i test "escludi l'oggetto che non c'entra niente" perché ha un'intelligenza divergente, odiano chi colora il vestito dell'angioletto di rosso anziché d'azzurro, odiano chi acquisisce sapere IN MODO CRITICO, chi intravede la realtà che sta sotto all'apparenza e lo dichiara apertamente. Questi soggetti sono da sempre tacciati di pericolosità, isolati, bastonati, accidentalmente spruzzati di DDT mentre si disinfesta la siepe in giardino.

Non ho voglia di scrivere perché so che non mi vuoi bene, non mi comprendi, non mi accogli, popolo mio. Faresti di me carne da rogo, se costumi medievali te lo permettessero, e racconteresti la mia storia con uno sketch alla Monty Python, che sarebbe apprezzato perfino da nerd ed intellettuali.

In tutto questo, io mi ricordo del 1984 di Orwell, e lo uso per spiegare ancora una volta come io concepisco la "Contro-Correnza": nel finale di quel terribile libro, si capisce fin troppo bene che la stessa disobbedienza di coloro che tentavano di resistere al regime era funzionale e fondamentale al suo mantenimento. Perché: un regime basato sul consenso ha bisogno dei dissidenti da schiacciare.
Ebbene, io non ho intenzione di essere una dissidente figa e lamentosa, non spargerò diari ricolmi di urla di guerra. Guadagnerò i riconoscimenti, questo sì, rimanendo fedele a me stessa. E' questo quello che in realtà, o Musa Delle Società, tu vorresti impedire. Se rinunciassi a questo, pur potendomi sfogare scrivendo tutti i racconti del mondo, allora sì che mi farei schifo.

Ieri sera ho dichiarato: Mi faccio schifo. Pensavo di aver realizzato di essere come gli altri. Di accettare con sottomissione i dettami di un meccanismo sociale assurdo. Ma non è così, oh no. Finché avrò la forza di credere e ragionare, resisterò al lavaggio del cervello che vuol farmi vedere la mia moralità come in caduta libera. Ed è questo il modo, io credo, per continuare ad accrescerla sempre, pianino pianino, pur con la stanchezza di una studentità pesantemente gravata da tasse.

Nella buia notte che si dilunga, mi riscaldo stringendomi nel mio mantello segreto. E' tessuto di fili di voci e capelli amati. Formano ciuffi che riconosco al tatto delle labbra, perché baciarli è la mia gioia ed il compimento delle mie giornate. Li amo perché anche quando insegno loro, e loro dicono che non è raro, io imparo. Perché non soltanto accettare è un atto di volontà per il quale bisogna esercitarsi, ma anche essere SOGGETTO di questa accoglienza. E' una delle innumerevoli cose che non ho appreso da libri, documentari, riviste: dalle persone. Ed io conservo il tocco dei loro capelli: perché sì, io li amo.


(In conclusione, mi scuso. Mi sono accorta di quanto sono confusa a volte nell'esporre le mie opinioni e mal si comprende. Vabbè.)