martedì 14 settembre 2010

Storytellers do it better!!! :P

Quando ero piccola mia madre veniva sempre a salutarmi dopo che mi ero messa a letto. Mi chiamava in molti modi affettuosi, ma quello che preferivo in assoluto era "la mia Sherazadhe". Affascinata dalla favola, mi aggiravo nella fantasia affrescata di tetti a cipolla sormontanti palazzi splendidi e silenziosi, veli mossi dal vento sul naso di donne ornate di turchesi, pesanti scimitarre a fare da archi nei giardinetti...
E nella mia precoce e scontatissima vanità, già allora mi sembrava abbastanza appropriato un soprannome simile per me. Mi prendevo l'onere di inventare storie per il fratello e la sorella, mi spaventavo da sola concependo trame da brivido, vagavo con il pensiero tra i pensieri dei personaggi di romanzi nati e mai diventati vecchi. Tra Sandokan, Pinocchio, Jolanda la figlia del Corsaro Nero e Peter Pan il mio universo era già bello e che riempito.
Molti anni dopo, ho incontrato per caso un altra Sherazadhe. In un romanzo di David Grossman, un ebreo internato in un campo di sterminio si salva inventando storie per un nazista, che spera così di poter diventare uno scrittore di fama. E' strano quanto le sue storie siano assurde, senza capo nè cosa. Personaggi enormi, con simbolismi involti in sè stessi e quasi incomprensibili, che emergono nell'ufficio del carnefice, si contorcono annodandosi su loro stessi, ed ecco che il lettore allungando una mano per cercare di scostare questo velo di incomprensione...è rimasto impigliato, e viene trascinato, dimenticandosi dell'ebreo "Sherazada", del suo tremendo salvatore. Essi poi ricompaiono, quando la realtà ripiomba sulla scena, come un paio di pesanti palpebre sbattute. E allora è soltanto chiaro, quanto sia squallida.

Ed ecco qua, per il gusto di guastare, qualche rigaccia scritta circa due anni fa.

"Ecco, rimarrò qua da sola per qualche tempo, sarà questa stanza il mio mondo, il mio amante della notte e del giorno, perché non esiste innamorato più bello di quello che occupa tutte le ore. Pettinerò i capelli e racconterò favole soltanto a me stessa, e se saranno tristi allieteranno questo piccolo cuore come con dolcezza. Non esiste miele per la bocca dell’uomo, allontanalo, non è forse vero che nasciamo per morire e continuiamo a vivere pur sapendolo…eppur spergiuri cerchiamo di convincerci che la felicità esiste.

Tessiamo una rete tra gli sprazzi di gioia concessi e invadiamo il tempo con la fantasia concessaci da un dio invisibile, chi dovremmo ascoltare se non noi stessi?

E se non volete ascoltarvi perché non riconoscete più la vostra voce, o credete di non averla, o cercarla vi costerebbe anni, ormai…ascoltate la mia voce.

Ascoltate la mia favola.

La prima notte la storia durerà infinitamente e senza remore verrà l’alba a strapparmi da voi…ma cosa dovrei fare io se non restare?

Sono la tua Sherazadh, signore, perdona il sorriso, vorrei che fosse ciò che tu desideri da me…eppure racconterò ancora un’altra favola, fino a quando vorrai, anche per mille notti, se lo vorrai. Se mi vorrai."




Esiste un concerto, scritto dal musicista russo Rimsky Korsakov, ispirato alla fiaba di Sherazadhe. Trovo che sia molto bello!






sabato 11 settembre 2010


La mia poesia preferita, in assoluto.

O grande angelo nero

fuligginoso riparami

sotto le tue ali,

che io possa sorradere

i pettini dei pruni,le luminarie dei forni

e inginocchiarmi

sui tizzi spenti se mai

vi resti qualche frangia

delle tue penne.

o piccolo angelo buio, non celestiale nè umano,

angelo che traspari

trascolorante difforme

e multiforme,eguale

e ineguale nel rapido lampeggio

della tua incomprensibile fabulazione

o angelo nero disvelati

ma non uccidermi col tuo fulgore,

non dissipare la nebbia che ti aureola

stampati nel mio pensiero

perchè non c’è occhio che resista ai fari,

angelo di carbone che ti ripari

dentro lo scialle della caldarostaia

grande angelo d’ebano

angelo fosco

o bianco,stanco di errare

se ti prendessi un’ala e la sentissi

scricchiolare

non potrei riconoscerti come faccio

nel sonno, nella veglia, nel mattino

perchè tra il vero e il falso non una cruna

può trattenere il bipede o il cammello,

e il bruciaticcio, il grumo

che resta sui polpastelli

è meno dello spolvero

dell’ultima tua piuma,grande angelo

di cenere e di fumo, miniangelo

spazzacamino.


Eugenio Montale, Satura




martedì 31 agosto 2010


Un testo che ho scritto qualche anno fa per i fratelli Gallagher. Poi quei bastardi si sono scolti...niente più Oasis, niente più canzone...e me ne sto qui, senza la mia fama mondiale XD
Ad ogni modo, questo è il testo scritto da una donna, ma pensata con il pensiero di un uomo che pensa a una donna, Berenice.

"To Berenice" - "A Berenice"

Mad on your grace,

I wanna be always on your side

Always with your breath in my mind

Going up and down

Behind my eyes

As you are there.

It’s enough to hold you in my thoughts

The memory of past blue things

Make me feel so happy

Because of you.

The greatest thing is that

Is naturally for me to think all this.

I can read it on my hands

Before that I put it down writing.

I can hear the vage wind telling me

That the only thing that can give me

The force to leave

A paper just white, in peace,

Is to say the truth

I love you."


So che è semplice e innocente, quasi senza rime. Ma devo dir qualcosa a sua discolpa. Esiste un mio racconto, in cui uno dei miei personaggi ha sempre in testa questa piccola canzoncina. Si chiama Falcon, ed è un ragazzino, praticamente un bambino, scappato di casa per seguire di nascosto il fratello maggiore, a sua volta fuggiasco. Non è stato ricondotto tra le mura di casa soltanto perché il fratello per nulla al mondo avrebbe voluto tornare dopo essere riuscito a staccarsi da quel luogo. Così, si ritrova per il mondo, il volto pallido e i capelli neri, un po' unti come quelli di un adolescente che si arrampica con difficoltà sui sedici anni. E ogni tanto, mentre le pagine scorrono e grandi cose accadono, si sente la sua voce, che canta una o l'altra parola di questa canzoncina.

E' piccolino quel personaggio, è molto lontano dall'essere il protagonista, ma alla fine, come sempre, si ritrova a far grandi cose.

Salva la pelle, gli amici, ritrova il fratello, recupera la fiducia in se stesso, impara a combattere...e si tromba la figlia di un re u.u

Buonanotte :)





sabato 26 giugno 2010

Italia Libera Tutti.

Questo racconto mi è sorto alla mente una sera lontana della mia afona adolescenza, durante la quale tutto quello che la mia mente produceva, tutti gli schizzi rosso fuoco che sfuggivano ai pennelli della mia anima pittrice rimanevano per davvero soltanto qui dentro. E con qui dentro intendo proprio un "io anatomico". Sappiamo tutti che nel lasso di tempo che va dai dieci ai quattordici anni ci giochiamo quella strenua partita, nello stadio stracolmo di ragazzini torciosi pronti a scannarsi l'un l'altro, a seguito della quale diventeremo "qualcuno" oppure "nessuno" per un buon numero degli anni a venire. Io fui come il pugile che si lasciò menare a bordo-ring, divenni uno scarno tisico piccolo mozzo che si accontentava di strofinare il ponte durante le ore del giorno. Si può dire, che parlassi e vivessi soltanto tra le mura di casa, oppure quando sprofondavo con la mente in tutte quelle mie violente e colorate fantasie, dalle quali sono poi scaturiti i miei racconti.
Oh, ma quanto è strano, che non appena mi distragga io cominci a parlare di me.
Per tornare al racconto "Italia Libera Tutti", a quel tempo già avevo sviluppato una particolare sensibilità verso temi quali la guerra, il razzismo, grazie soprattutto alle storie, vissute in prima persona, che avevo ascoltato dai miei nonni e da una zia che visse per anni al piano sotto di noi, una donna grazie alla quale ho conosciuto un mondo che ad immaginarlo ora pare impossibile. (Questa zia, Valeria Maffei, era nata nel 1904. Mi raccontava della sua infanzia, giovinezza, maturità. Aveva già quarant'anni durante la secondo guerra mondiale. Ogni tanti la incontro ancora, nei miei sogni. Passeggia per le strade della Viareggio onirica e mi saluta chiedendomi come sta la famiglia)
L'evento che accese la miccia della mia ispirazione in proposito fu l'aver guardato un film, La notte di San Lorenzo, che mi commosse profondamente. Mi sentii trasportata a fianco di quelle persone, avvertii l'utero che tremava alla morte dei figli, gli occhi che volevano soltanto cadere e rotolare via al frantumarsi di ogni speranza...e nella mente mi rintoccava la consapevolezza che anche io venivo da tragedie come quelle. La storia della mia famiglia era stata martoriata da fatti simili, che tedeschi e fascisti avevano inflitto a chi era carne della mia carne e sangue del mio sangue.
Da tutto questo, sorse dalle acque torbide ed agitate che avevo nel cuore una protagonista.
Seppi che era cieca, ma non lo era stata da sempre. Aveva visto qualcosa, durante la guerra, per la quale i suoi occhi avevano smesso di vedere. La battezzai con un nome che rendesse giustizia a tutta la dolcezza che le rendeva lucida quella sua bocca rosea...Giulia.
Ne scrissi l'inizio, proprio così come lo si può leggere adesso. Il titolo del racconto appena iniziato era allora "L'Italia Libera" (anche se fui indecisa tra Libera e Liberata) e rimase tale per tutti gli anni a venire. Dovetti concludere il racconto per riuscire ad avere il colpo di genio.
Italia Libera Tutti, un gioco di parole. Qui in Toscana, quando i bambini giocano tutti insieme a nascondino, si sente ogni tanto risuonare il grido di "Bomba Libera Tutti!"
Sta a significare che uno dei bambini è riuscito ad arrivare al punto scelto per la "cucca" (la conta) senza farsi vedere e toccandola ha battuto chi doveva cercare e liberato anche tutti gli altri.
"Italia Libera Tutti!"


PS: Ho avuto il coraggio di caricare codesto libriccino su ilmiolibro.it Si può compare da lì, se ne può leggere l'anteprima. Beh se qualcuno capita per sbaglio su questa pagina...spero magari vada a dare un occhiata :)

di teresa del bianco
Libro NARRATIVA 76 pagine
Copertina Morbida - Formato 15x23 - bianco e nero

giovedì 4 febbraio 2010

Stralci dal racconto "L'anonima Guerra"

Lasciamo stare tutto quello che in questo periodo mi dà da pensare, e che è simile a tutto quello che chiunque vive nella sua quotidianeità. Passiamo a qualcosa a cui dedico la maggior parte del mio tempo sommerso. Qualcosa che non mi permette di addormentarmi la sera, nel mio letto, che attraversa come un fiume il mio subconscio mentre faccio altre cose e mi fa distrarre, qualcosa che scorre e finalmente tace all'interno della mia testa quando finalmente mi metto lì, e scrivo.
Parliamo di storie.

E' da poco passato il 27 gennaio, Giorno della Memoria. E' una data che sento attaccata con ago e filo al mio sentire, forse perchè sono una persona particolarmente sensibile, forse perchè sono un po' giudea nell'indole.
A parte ogni beffa, credo fermamente nell'importanza della memoria di fatti orribili accaduti durante la storia dell'umanità e per mano dell'umanità stessa, appunto perchè trovo che nella rivalsa a cui noi tutti aspiriamo (sì, proprio quella, quella rosa, lucente ed utopica. Quel sogno di cui hanno parlato e per cui hanno lottato in tanti) una buona parte la giochi la storia che ci portiamo dietro.

Questo Argomento mi porta a parlare di una storia a cui sono incredibilmente affezionata. Non ricordo esattamente quando ho iniziato a scriverla, probabilmente all'età di 15-16 anni. Conservo ancora la sua prima stesura (completa! Una delle poche storie che ho portato a termine!) su un quaderno blu dal bordo marrone chiaro, scritta a mano in quella mia calligrafia abbastanza cicciottella. Iniziai a scriverla proprio in occasione di un giorno della Memoria, essendo rimasta molto impressionata da un documentario che raccontava delle atrocità subite dai polacchi (ebrei e non) per mano dei nazisti. Per questo scelsi di dargli un'ambientazione storica, a partire dal settembre 1939, data dell'invasione tedesca in Polonia.
A quell'epoca, l'ambientazione storica mi creava non pochi problemi: per avere una conclusione, l'arco temporale in cui la storia doveva svolgersi doveva essere di parecchi anni, ed io non avevo un'idea esatta di cosa fosse avvenuto durante tutta la guerra in Polonia (a quell'epoca Wikipedia non era ancora di grido e Google per me era un po' una fantascenza da usare solo se in estremo bisogno).
In più, essendo bombardata da professoresse femministe e da suffragette di Amnesty Internetional, che trovavano in me una ragazzina decisa a riempire i loro auditori e cineforum di provincia, mi convinsi che dovevo fare di più, per la memoria. Scrivere una storia ambientata in un paese geografico senza nomi e senza nazioni, rimanendo del tutto nel generale. Quando impossibile, usare degli asterischi per nascondere al lettore qualsiasi riferimento. Anche i nomi dovevano diventare di fantasia. Così, Djula divenne "Amen" (ancora rabbrividisco al ricordo) Piotr si trasformò in "Oak", il nome della protagonista uno inventato di sana pianta, "Bena".
Volevo raccontare una guerra che le raccontasse tutte, per mostrare che tutte le guerre sono uguali, insulse, procurano la stessa identica sofferenza, che si svolgano in Polonia, in Italia, in Medio Oriente o in Ruanda.
Da qui, venne anche il titolo del racconto, "L'Anonima Guerra".

Ora, raccontata così, sembra che io abbia imbastito tutto questo scheletro, prima che inventassi la trama o i personaggi. In realtà, la trama mi venne tutta insieme, come anche i personaggi principali.
Si dipinse per me una casupola in un paesello nella campagna polacca, in cui un padre di famiglia da tutti considerato un po' matto ha comprato con i suoi risparmi una radio, e trae da essa notizie dal mondo esterno. Questo, e le sue idee un po' pazze, che lo portano per esempio a considerare i vicini ebrei come amici, lo hanno dotato di un notevole carisma, e molte persone si recano in casa sua, la sera, per ascoltare la radio insieme a lui. Tra di loro, non può mai mancare sua figlia, Bena, una ragazzina di nemmeno 16 anni, ma che si attira subito gli occhi addosso, visto che invece che ascoltare, come fanno tutti, non fa che fissare un giovane, che lei nel suo pensiero definisce il so fidanzato. E' in una di queste sere che la radio non capta nessun segnale. Silenzio da una parte, e un manipolo di contadini turbati dall'altra. Il giorno successivo, arrivano i tedeschi.


Questa fu la scena svoltasi nel Settembre del 1939 che mi si dipinse in mente, e io sapevo già cosa rendeva speciale tutti i personaggi presenti. Piotr, il carismatico padrone della radio, colui che girava la manopola commentava per primo le notizie. Un contadino che porta gli occhiali, che sa leggere, ha idee proprie, mentalità aperta. Un uomo cocciuto, fatto a rovescio, che non vede differenze tra le persone, di cui tutti sospettano la follia ma che chiunque rispetta.
Sua figlia, Bena, una sognatrice romantica, testarda come il padre. Anche lui, ci sta stretta nei panni della contadina. Ama senza vergogna un giovane ebreo (che si è chiamato Djula, poi Amen, adesso si chiama Dawid) e che è colei che deve fare i conti con la madre quando sia lei che il padre la mettono in imbarazzo.

I miei personaggi e la loro storia sono nati in Polonia, poi sono cresciuti in un paese non identificato, e quando la storia è finita, alcuni anni dopo, si sono ritrovati in Polonia. Attualmente, sto riscrivendo l'intera storia (la trama rimane più o meno la stessa) e l'ambientazione è tornata quella originaria. Credo che l'idea della guerra anonima fosse buona, ma rendeva il racconto molto scollegato, quasi i vari episodi fossero stati ripescati da vari luoghi comuni su quello che accade nelle zone martoriate dalla guerra e fossero stati mescolati, per riemergere in ordine sparso. Come se i miei personaggi corressero su un percorso ad ostacoli dal quale saltavano fuori dei bersagli casuali, e loro dovessero soltanto cercare di non scontrarvisi.

Visto che non ho intenzione di svelare la trama del racconto, cercherò di parlare di queste figure che vi si muovono, e perdonatemi se mi dilungherò o capirete poco o nulla di loro. Il fatto è che li amo molto.

Bena
La protagonista. All'inizio della storia, ha quasi sedici anni ed è molto angustiata con il mondo perchè non è lei la figlia maggiore, e quindi non può sposarsi. E' innamorata di un giovane ebreo, Dawid, che la riama e le ha promesso che se ne andranno insieme, dove nessuno li conosce, quando avrà racimolato un po' di soldi. Quando il sipario si alza su di lei, Bena non fa altro che pensare a Dawid, o almeno si sforza di fare così.
Spesse volte mi sono chiesta come potesse essere che Dawid amasse Bena. E' vero, è bella, ma la bellezza è una caratteristica più o meno ubiquitaria. In realtà lei è quasi una bambina, vive in un mondo fiabesco, che non si spezza anche quando gli eventi cominciano a precipitare. Allo stesso tempo, possiede un'energia fuori dal comune, che le permette di vivere in molti posti contemporaneamente: nel futuro ancora incerto con il suo innamorato, nel presente nel quale deve lavorare nei campi ed occuparsi di fratelli minori e casa, nell'onnipresente dimensione nella quale può pensare autonomamente e lasciarsi andare alla propria logica, ereditata dal padre, e dipingere il mondo secondo le proprie impressioni e la propria intelligenza.
Difetti: tende chiaramente alla fissazione e all'estraneamento. C'è qualcosa di un po' autistico nella perseveranza che questa ragazza ha di sè stessa. Per anni in cui non incontra Dawid, riesce a rimanere convinta di essere innamorata di lui, allo stesso tempo riesce a trovare un'altra ancora umana alla realtà (vedremo poi chi) sviluppando per essa una vera e propria dipendenza. nei momenti di pericolo difficilmente la raggiunge il panico o la disperazione. In quei momenti, i pensieri futili, i ricordi o semplicemente la determinazione la spingono. Forse è proprio per questo suo carattere che mi è tanto difficile mostrare le cose attraverso il suo punto di vista.

Alcune cose carine che ho scovato sul suo nome vero, Kamila (in questa versione del racconto, Bena è il soprannome con cui tutti la chiamano):
  • Una tipo di farfalla si chiama così.


  • Camilla significa "Ministro di Dio, Sacerdote/Sacerdotessa, Colui/Colei che partecipa alle cerimonie".
  • Camilla è un personaggio che si incontra nell'Eneide di Virgilio: alleata di Turno, guida il suo popolo di vergini guerriere in stile amazzoni; quando rimane uccisa, la sua morte è vendicata dalla dea Diana.
  • Camilla è uno dei più grandi asteroidi della Fascia Principale, orbitante attorno al Sole.
  • Esiste un film intitolato: "Camilla - Un amore proibito"
  • Esiste un fiore con questo nome, Iris Camillae.
Assicuro che sono tutte cose molto appropriate :)

lunedì 4 gennaio 2010

The Hours - Le ore


"Guardare la vita in faccia, sempre, guardare la vita in faccia, e conoscerla, per quello che è. Al fine di conoscerla, amarla, per quello che è. E poi metterla da parte.
Per sempre gli anni che abbiamo trascorso, per sempre gli anni.
Per sempre l'amore, per sempre.
Le ore."
Come a dirsi...chi si perde l'ultima frase del film è perduto.
(Il mio personaggio preferito del film? Leonard...)