venerdì 18 marzo 2011

Lettera a Fukushima.

Non conosco i vostri nomi, cognomi, luoghi di nascita. A delinearvi, una serie di categorie generali, geografiche, continentali, sentimentali. Articoli, scattanti voci di giornalisti parlano di voi come martiri, eroi, coraggiosi capitani dell’umanità. A volte distinguo, nella masnada di voci occupate a commercializzare la loro notizia, l’accento di un politico, che aggiunge qualche epiteto caricandolo di patetica partecipazione: “Quel giovane tecnico giapponese…” e sul giapponese gli sfugge una lacrima che scivola dolce sulla cipria lasciando un rivolo di mascara.

Oh tecnico della Tepco, piccola persona collettiva formata da tasselli di vetro smaltati, a creare sfumature ben accostate per assecondarsi e disegnare un mosaico. Guardandoti dall’alto del mio telegiornale, questo tuo colore incasellato in piccole teste sormontate da un casco mi ricorda quello di una grande iride, al cui centro una pupilla nera mi fissa. Non sei cieco, grande occhio fatto di persone, so che mi guardi, ci guardi. Ci rimiriamo vicendevolmente.
Vorrei che tu, come me, in questi momenti in cui ti penso intensamente, potessi scegliere di ampliare il tuo sguardo: dopo un po’ di tempo non ho visto più te e la tua piccola pupilla, ma un orizzonte, l’umanità, noi tutti. Non eravamo più tu là, io qua: entrambi ci trovavamo in Libia, tra i tumulti. In Birmania, ad osservare in silenzio la casa di una reclusa politica. In Cina, a cercar di non impazzire non conoscendo il luogo dove nostro marito era stato incarcerato. In Iran, con le guance gonfie e rosse di botte per aver scritto articoli su un giornale straniero. In Israele,aspettando l’autobus per andare al lavoro, nel tentativo di non rendere terrore al terrorismo. Con pochi battiti di ciglia, siamo stati in tutte le piazze del mondo.
Mentre ci addormentavamo la nostra mente si è trasformata in un ventre. Conteneva tutti questi pensieri ed essi ritraevano la grandezza dell’umanità scritta in persone. Ricordavano che tra le molteplici azioni che possono essere compiute alcune lo sono per giustizia, per dare il benvenuto alla libertà di vivere.
Addio, tecnico della Tepco. Siamo stati insieme da quando la morte ha steso il velo nero sul tuo paese allungato. Presto un sipario grigio ti coprirà, ed il tuo destino affogherà nell’anonimato. Non mi è dato sapere cosa ti accadrà, se ci saranno dolore, speranze, lacrime, torti. Eppure ci sarai tu, fratello mio, in tutta la tua inestimabile grandezza. Proiettate sul muro dietro al tuo letto, la sera, le ombre: noi tutti, proiettati. E prego Iddio che un giorno anziché ombre, vivendo, diventeremo persone come te, che per la vita hai scelto di rischiare la vita.