sabato 27 ottobre 2012

Il respiro poetico di Majakovskij


Siamo nel 1912: la firma di Vladimir Vladimirovic Majakovskij, diciannovenne, viene apposta sul manifesto dei poeti futuristi russi, dal titolo Schiaffo al gusto del pubblico.
A chi di noi (italiani) ha avuto l’occasione di leggere alcune poesie di Majakovskij e conoscere alcuni dei fatti più provocatori dei suoi 37 anni di vita, suonerà forse strano l’accoppiamento di parole che è fondamentale, anche se riduttivo e potenzialmente fuorviante, per definirlo: mentre leggo la sua biografia ed intervallo con qualche poesia non posso impedire alla mia mente di generare il binomio futurista-bolscevico. Prima ancora di compiere la maggiore età e dedicarsi alle arti, il Majakovskij si iscrisse al partito bolscevico e finì in prigione con l’accusa di sovversione. Ricordo con precisione la caratterizzazione dei futuristi nostrani: antipatici, snob, interventisti (cioè guerrafondai), denigratori di tutto e di tutti, fascisti. Majakovskij era un pacifista, filo-proletario, esaltato bolscevico. Nel 1909, tre anni prima della redazione dello Schiaffo al gusto del pubblico, Filippo Tommaso Marinetti aveva composto il Manifesto del futurismo, nel quale raccoglieva le iniziali ispirazioni che dovevano innalzare l’uomo al di sopra della gretta cultura borghese e liberare le parole dal giogo di attempate atmosfere crepuscolari.
Majakovskij dichiara di vedere, nel futurismo, la chiave della rivoluzione dello spirito, che accompagnandosi alla rivoluzione molto fisica che ha coinvolto le masse e rovesciato lo varismo, porterà ad un vero cambiamento. Possiamo leggere, dalla Lettera agli operai, nella quale manifesta indignazione per l’assenza di un cambiamento nei costumi del popolo russo, insinuando che il vero proposito dei proletari sia uscire per strada, un giorno, con un bell’orologio sul panciotto:
“Solo lo scoppio della rivoluzione dello spirito ci purificherà dal rancidume della vecchia arte.
Vi protegga la ragione dalla violenza fisica contro i residui del vecchiume artistico. Consegnateli alle scuole, alle università, per lo studio della geografia, del costume, della storia, ma respingete con sdegno chi vi offrirà questi fossili in luogo del pane della bellezza vivente.
La rivoluzione del contenuto, socialismo-anarchia, è inconcepibile senza la rivoluzione della forma, futurismo.
Afferrate con avidità i pezzi di sana, giovane, ruvida arte che vi forniamo.”
La ruvida arte di cui attraverso questo frammento intuiamo i propositi ha certo alcune rassomiglianze con l’arte che il genio creatore di Marinetti intende portare alla ribalta grazie al Manifesto:
“La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Majakovskij e Marinetti annunciano un cambiamento dello stile ed entrambi utilizzano lo stesso termine per definire questa svolta nel mondo dell’arte: futurismo. Il russo si scaglia, nella Lettera agli operai, contro i teatri requisiti appena riaperti, da cui sente risuonare:
“Aide e Traviate, con ogni sorta di spagnoli e di conti, e vedo nelle poesie da voi predilette le stesse rose delle serre signorili, e scorgo i vostri occhi abbacinarsi dinanzi a tele che raffigurano la magnificenza del passato.”
E, nel manifesto Schiaffo al gusto del pubblico, ordina ai poeti di:
Gettare Puskin, Dostoevskij, Tolstoj, ecc., ecc., dalla nave del nostro tempo.

(…)odiare inesorabilmente la lingua esistita prima di loro”
L’italiano dichiara, sempre nel Manifesto, di voler demolire:
“I musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.”
La vicinanza e le differenze sono di dimensione impressionante. Il pacifista ed il guerrafondaio, l’uno che scrive lettere agli operai, l’altro che denigra il femminismo, Majakovskij che si costituisce il disincantato s-cantore del regime socialista, Marinetti aderisce ai Fasci di Combattimento di Mussolini.
Provo ad immaginarmeli: Martinetti e Majakovskij si incontrano. Si studiano e si accorgono di essere davvero molto diversi. Il volto di Majakovskij è lungo e lugubre, magro, gli occhi sono grandi e neri, intagliati nella carne come nel legno di quercia. Ha un’aria inesauribile, del grande uomo che cammina davanti agli altri. Marinetti ha la faccia tonda, è calvo. I suoi neri baffi arricciati sorridono sopra la fessura della sua bocca serrata. Majakovskij veste disadorno, il volto scavato si fa interprete dell’indimenticabile espressione dei Bohèmienne; la sua camicia è sgualcita ed il cappotto pesante ricorda che sente freddo. Anche Marinetti ha vissuto in ambiente bohèmienne, ma veste elegante, impugna un sottile bastone; con lo sguardo preciso fantastica sull’amata automobile con la quale sperimenta velocità impensabili per l’angusto borghese.
Ma sono davvero così diversi?
Senza conoscere la provenienza di uno dei loro scritti, potremmo attribuire ad uno una delle frasi dell’altro.
Assolutamente no.
Non voglio addentrarmi in una discussione politica, nel dibattito sulle ideologie, che sappiamo essere molto diverse. Vorrei invece parlare di letteratura. Ho dovuto ammettere che, stilisticamente, i due artisti si toccano ed inoltre sperimentano mezzi d’espressione comuni, ritenuti importanti dal movimento futurista, come il cinema, la pittura, la poesia, il teatro. Nelle poesie troviamo parole ed espressioni come proiettili, squilli, onomatopee dissonanti, riferimenti alla velocità ed alla tecnologia, eppure c’è qualcosa di cui Majakovskij non solo ha parlato ma ha eletto a tema, a cui Marinetti, con la sua Isotta Fraschini (il suo velocipede) non si è nemmeno lontanamente avvicinato. Sto parlando dell’amore. Lo si intuisce già dalla Lettera agli operai, ricca di empatia e di spirito rivoluzionario che non ha niente a che fare con il tono metafisico ed estetico che induce Marinetti a stillare degli altisonanti elenchi.
Nel poema “Di questo”, Majakovskij riflette, con ermetica lucidità, sul destino dell’amore all’interno della società borghese, esplora il proprio desiderio di salvezza attraverso l’amore.
L’amore e l’uomo. Senza l’uno, non si salva l’altro e viceversa.
Majakovskij brama di restituire ad Eros la sua Psiche, muta forma e naviga sul fiume delle proprie lacrime, spingendosi in profondità, mostrandosi senza paura per quello che è.

Sta qui la differenza tra Majakovskij e Marinetti, tra il progressista ed il reazionario?
Ma il loro destino, non è forse per certi aspetti simile?
Marinetti decade, diventa vecchio ed il suo futurismo diventa un vecchiume inguardabile, deriso dagli spiriti liberi dei Dada. Marinetti, stanco, deluso, perde colore e svanisce.
Majakovskij? Anche lui subisce l’isolamento: osserva le schiere dei suoi ex-amici, ora critici ed intellettuali, che si sono posti a buona distanza da lui. Quest’uomo rimane fedele all’azione oltre ogni limite e concluse la sua vita con un atto che avrebbe fatto cadere i baffi a Marinetti e ad i borghesi tutti.
Majakovskij, nel 1930, organizza da solo una mostra sul proprio lavoro e produce un proprio autoritratto, che illustra lui stesso. Pochi mesi dopo questo evento, si spara al cuore.
Chi era Majakovskij? Io credo che non sia possibile includerlo in una classificazione. Egli ha aderì a partiti e movimenti d’avanguardia, eppure il suo destino fu quello di essere lasciato solo.
L’energia di Majakovskij vibra del pensiero dell’amore, sempre inflazionato, sottovalutato, esiliato nei siparietti adolescenziali. Questo amore, che nel suo tempo nessuno comprendeva e declamava a piena voce: i totalitarismi tolgono la vita alle persone, impedendo all’amore di esistere.
Giunto vicino al punto di non ritorno, Majakovskij si è tolto la vita per tornare in quel regno senza confini in cui la profondità è pienamente accessibile, l’odio è vergognoso e l’accettazione (dell’altro) è completa.
Leggendo Majakovskij, a noi rimane la speranza che…

"Forse,
chissà,
un giorno,
da un vialetto dello zoo
anche lei –
che pure amava gli animali –
verrà al parco,
sorridente,
proprio come
nella foto sul tavolo.
Così bella –
Lei, sicuro, la risusciteranno.
Il vostro
Trentesimo secolo
Supererà gli stormi
Di inezie che ti stracciano il cuore.
Con la stellarità di infinite notti
Oggi suppliamo
A quel che non abbiamo finito d’amare.
Risuscitami
Che
Io
Poeta
T’ho aspettato,
evitando le inezie quotidiane!
Risuscitami
Anche solo per questo!
Risuscitami –
Voglio viver tutta la mia vita!
Perché l’amore non sia più servo
Di matrimonio,
lussuria,
pane.
Maledicendo i letti,
levatosi dai giacigli,
l’amore vada per tutto l’universo.
Perché il giorno,
che ti invecchia nel dolore,
non mendichi, pregando.
Perché
Al primo grido:
- Compagno! –
Tutta la terra si rigiri.
Per non vivere
Vittima della propria casetta.
Perché
In famiglia
D’ora in avanti
Possa essere
Il padre
Almeno l’universo,
e almeno la terra, la madre"

(Questa poesia si intitola Amore ed io la trovo bellissima.)

Vladimir Majakovskij (1892-1930)