martedì 15 ottobre 2013
Quando avevano invitato Alice a vivere in casa con loro, i
genitori avevano chiesto a Gaspare di amarla.
Gaspare non fu ispirato in tal senso fin dall’inizio:
osservava la giovane orfana come se fosse una mosca. Aveva l’impressione che si
posasse sui mobili, sul cibo, sulle mani e che si aggirasse per le stanze con
una velocità (del pensiero) che a loro che vi abitavano da tanti anni era del
tutto sconosciuta.
La richiesta dei genitori era suscitata dalla pietà di cui
erano convinti che Alice dovesse essere oggetto; tuttavia il motivo di tale
obbligo gli era rimasta a lungo incomprensibile visto che non aveva ascoltato
la sua triste storia.
Alice non era bella, non proveniva da una terra lontana, non
sospirava: avrebbe potuto entrare in casa con il titolo di inserviente e
nessuno di loro, tanto meno i suoi genitori, si sarebbero accorti di lei o del
suo vissuto.
Un evento del passato legava suo padre al padre di Alice e
doveva bastare per rispettarla: se fossi nei panni di mio padre mi sarei
comportato allo stesso modo, si diceva Gaspare, facendo l’equazione della
morale, pur non conoscendo l’argomento in questione.
Durante le prime settimane Alice si dimostrò abbastanza
solitaria, guadagnandosi gli appellativi di riservata e timida; tuttavia in breve
tempo strinse amicizia con la vecchia nonna di Gaspare, una donna che lui non
considerava di maggior valore della cuffia ricamata che giaceva sui suoi radi
capelli, visto che nella maggior parte delle occasioni si dimostrava incapace
di proferir parola. Dopo che Alice ebbe preso l’abitudine di sedere accanto a
lei, i familiari furono costretti mutare opinione sul livello di partecipazione
alla realtà della vecchia: l’anziana signora rispondeva ad Alice, a patto che
lei le si rivolgesse cantando.
Gaspare si accorse per ultimo, dopo che i genitori gli
ebbero manifestato il loro stupore, che le due chiacchieravano tra loro,
canticchiando a mezza voce. Fu allora che le rivolse la parola per la prima
volta: era curioso di sapere come aveva partorito quell’idea.
I grandi aedi dell’antichità ricordavano lunghissimi poemi
a memoria grazie alla musica: li cantavano, ma non avrebbero forse saputo
mettere per scritto o scandirli senza ritmo. Le parole rimangono nella musica
più a lungo di quanto non rimangano nella nostra razionalità.
Gaspare scoprì che Alice era istruita: non era andata a
scuola ma era stata la pupilla di un vecchio professore che abitava nel suo
paese, che le aveva insegnato il mondo attraverso la poesia e la letteratura.
Così Alice raccontava tutto come se si trattasse di un argomento degno di
un’ode.
In un primo momento Gaspare rise come si ride quando si
ascolta una barzelletta già sentita, ma poi si accorse che i suoi lunghi
discorsi non lo stancavano e questa fu già un’ammissione potente. L’amore per
lei nacque progressivamente, inizialmente senza passione ma con una sete
inestinguibile di vederla e sentirla parlare.
Quando glielo disse, lei gli confessò che ricambiava e
Gaspare scoprì che Alice gli appariva bella, irresistibile. Percepiva il
fremito sulla superficie delle mani di Alice, pronte ad accarezzarlo fino a
consumarsi, e si abbandonò ad un sentimento d’amore che lo faceva sentire, al
contempo, un lattante ed un vecchio.
Decisero di sposarsi, con l’approvazione ma con la preoccupazione
dei genitori di Gaspare: amavano Alice ed avevano invitato il figlio a fare
altrettanto, ma il cambiamento del giovane rampollo lasciava intravedere loro
che il suo destino, che appariva deciso fin dalla sua nascita, era
profondamente mutato. Per loro, in quel momento, risultava imprevedibile: il
ragazzo voleva lavorare e trasferirsi con la giovane moglie nella cittadina
dalla quale lei proveniva.
Cominciare con un magro stipendio e da un luogo provinciale:
per Gaspare la questione era molto più affascinante e non la avrebbe mai
definita con tale parole.
Voleva cominciare la loro vita, con Alice, dai luoghi che le
avevano dato i natali: conoscere quelle dune e gli snelli alberi alla cui ombra
lei era cresciuta ed infine era giunta fino a lui.
Era certo che da quel punto sarebbero giunti al luogo
successivo del loro amore.
Quel luminoso settembre del 1920 si sposarono e ancor
freschi della festa, profumati di borotalco e lavanda, giunsero ad abitare
nella stanza che per la prima volta era interamente loro. Avevano abitato per
qualche settimana nella casa dei genitori di lui ed avevano dormito insieme
nella stanza che Gaspare aveva occupato fin dall’epoca in cui era stato capace
di dormire da solo.
Quella stanza, soprattutto durante la notte, rivelava molto
di ciò che Gaspare era stato, un bambino, fino a poco tempo prima: l’ombra dei
ninnoli e degli appendiabiti sui quali, per un periodo eterno, erano stati
disposti, in un ordine da esposizione universale, i suoi completini ed i suoi
accappatoini, proiettavano la loro ombra sulle pareti.
Durante le loro chiacchierate notturne i due solevano tenere
un lume acceso e la voce di Gaspare rallentava e diveniva nostalgica, mentre il
suo pensiero dava un nome ed una data di nascita a tutte quelle cose con le quali
era cresciuto, che non gli appartenevano ma che erano state sue servitrici.
Alice lo ascoltava, alzava il braccio magro e le indicava, si aggirava per la
stanza con i piedi leggeri, veloce come una zanzara, li toccava, chiedendo a
lui di raccontare il motivo per il quale quel carillon, quel soldatino a
cavallo era rimasto proprio lì, cristallizzato sul suo scrittoio, irrigidito
per la lunga attesa di un ordine. L’odore di quella stanza, dolce come quello
degli unguenti per il bagno, ispirava a Gaspare racconti che difficilmente
avrebbe creduto di poter richiamare alla memoria, con i quali condì l’attesa
che li avrebbe infine portati in Toscana, nella terra natale di lei, nella
piccola cittadina sul lago, vicino alla tenuta nel cui grande parco pascolavano
dromedari, non nella sua casa perché lei non ne aveva.
La stanza che affittarono, con un anticipo fornito dai suoi
genitori, era spoglia e lontana dalla strada. Vi giungevano, pianissimo, i
rumori degli animali del padule, degli agricoltori al lavoro, di qualche
carrozza come quella sulla quale erano giunti.
A volte cerco di immaginare la pineta ed il mare dall’alto, con gli occhi di un uccello: deve apparire così diversa rispetto a come la viviamo a questo livello. Superate le montagne, si scende un po’ e ci si lascia alle spalle il sole appena sorto: dal cielo, l’alternarsi delle dune e degli specchi d’acqua sembra una bandiera scintillante, estesa per chilometri, che poggia sull’invitante verde della vegetazione. Dal basso, non possiamo vedere quello scintillare: dimentichiamo la forza del talismano, fino a che non ci alziamo nuovamente in volo. L’incantesimo, l’attrazione non ricompare fino alla prossima migrazione, quando la stagione ci riporta al di là delle Apuane, sulla costa.
Queste sue parole si ripeteva Gaspare, la notte, quando
abbracciato ad Alice ascoltava il lento, quasi impercettibile movimento del
lago. La casa era di un’amica di Alice e Gaspare si affezionò ben presto
all’odore di quelle stanze, che originava dalla cucina e si intestardiva,
distraendo tutte le loro attività, all’ora dei pasti, richiamandoli come due
topolini in trappola.
Il padre della padrona era proprietario di una serra e
pescatore. Non di rado cacciava anche, con un vecchio fucile che aveva
ereditato e che continuava ad odorare di polvere da sparo molti giorni dopo che
aveva sparato. Così, quando Gaspare scrutava quell’arnese, appeso alla parete,
come un qualsiasi ornamento, provava un senso di sospetto misto a reverenza
quale si prova di fronte ad una belva che sommessamente preannuncia il proprio
ruggito.
Il pensionante lo portò a pesca, la mattina presto e qualche
volta durante la notte. Gaspare non aveva difficoltà a sopportare la lunga
attesa; a volte confondeva la veglia con il sogno e si scuoteva, si dava uno schiaffo,
allora si accorgeva di essere completamente sveglio e credeva di vedere
qualcosa di meraviglioso, incomparabile: le lucciole infarcivano le sponde del
lago come balconi addobbati a festa, ma con maggiore dolcezza ed irriverenza
dei lumi umani, spengendosi e nascondendosi alla vista per lunghi minuti, come
sorrisi mal celati di bambine. Il riflesso dei punti luminosi si fondeva in
nastri baluginanti, che scorrevano sulla superficie dell’acqua bassa e nera. A
volte Gaspare immaginava di poter leggere quei caratteri aramaici e scovarvi la
bibbia dei pesci, degli aironi, delle ranocchie: grandi ed inafferrabili verità
sulla vita che sta in mezzo, tra l’acqua e la terra.
Alice aveva ripreso il mestiere al quale era stata iniziata
da piccolina: la sarta. Confezionava abiti costosi o a modici prezzi. Quando
venne la notizia che era tornata, la sarta che le aveva insegnato la andò a
trovare e le offerse il lavoro. Con i loro primi risparmi, comprarono una
bicicletta e così insieme a volte si recavano nella piccola cittadina alla fine
della strada che attraversava l’infinita pineta. La bicicletta di Gaspare
ondeggiava, dirottata dai colpi di vento o dalla distrazione, mentre Alice
stringeva le dita attorno al metallo freddo del manubrio e raccontava a Gaspare
le storie di quel luogo così piccolo da essere raggiunto da echi di storie e
gesta lontane, così trasfigurati dalla distanza da diventare immaginazione.
Alle volte, inventava per lui qualche verso e lo canticchiava, un po’ fuori
tono.
L’airone ornato di brace, di
Invisibili raggi dipinto, dall’
Alto come ombra calava, così
Coma fa un frammento di bandiera,
ormai libero, lento va sul vento
pietra immateriale adagiata
sul dorso delle onde magnifiche.
Immobile, è un giunco adesso
Un’erba bianca con foglie sottili
Che si confonde con i più comuni
Riflessi, l’ infisso nell’acqua…
Grazie alla bicicletta, Gaspare trovò un lavoretto come corriere e cominciò ad andare ad imparare il mestiere dal tipografo. Tutto si era stabilito molto velocemente: vivere di nuovo in autonomia aveva stimolato il lato pratico di Alice, che aveva guidato con maestria i primi passi di Gaspare attraverso la gente che conosceva e che poteva aiutarli.
Una sera, Alice e Gaspare si spinsero a passeggiare fin
dentro la pineta, vicino alla spiaggia, tanto da poter udire il rumoreggiare
placido del mare. Alice si fermò e chiese a Gaspare di tornare indietro: aveva
freddo e paura di spingersi oltre dopo il calare del sole.
Gaspare rise e la tirò a sé, sospingendola poi perché
proseguisse, ma lei si tirò indietro e si allontanò di qualche passo. Ripeté
che non intendeva proseguire, che conosceva la pineta e non voleva arrischiarsi
durante la notte.
“Conosci la pineta, di giorno. Non sei te che mi hai parlato
della pioggia e dell’aria notturna che è così idilliaca tra i pini sotto la
luce della luna?”
“Non sono io, è stato un poeta. Non voglio andare, torno a
casa.”
“Non pensavo che avresti mai avuto paura di fare qualcosa
insieme a me.”
“Sei irragionevole. Non ho intenzione di seguirti. Se vuoi
andare, vai, io me ne torno a casa. Sei davvero un bambino.”
La guardò: lei appariva più acerba dei due, malgrado
avessero la stessa età. Ma era più saggia e lui…il suo aspetto di uomo poteva
non far intuire il suo spirito.
Gaspare in risposta le sorrise, non aveva altro modo per
esprimere ciò che lei suscitava in lui e lo prosciugava di ogni parola. Se solo
avesse avuto il coraggio di cantare in risposta, come lo aveva avuto sua nonna…
Alice si allontanò e sparì sul sentiero: Gaspare era ormai
solo ma non si sentì abbandonato. Si voltò verso gli alberi, in direzione dello
stormire acuto dei grilli che si nascondevano in basso, chiuse gli occhi ed
inspirò l’odore degli ultimi camuciori che veniva trasportato dal vento dai
cespugli vicini. Aprendo gli occhi, ormai abituato al buio, distinse le macchie
di luce che velocemente si spostavano tra gli alberi: erano i riflessi della
luna nelle pozze che frammentate si ricongiungevano tra loro durante l’autunno,
con la pioggia.
La cercherò qui, la mia Alice, pensò, anzi, cantò
nella sua mente.
Si è allontanata da me e non so dove la incontrerò ma
esplorerò il mondo per trovarla. A cominciare da questo piccolo mondo. A
cominciare dai pini snelli che fanno posto ad alberi più grandi, alle querce ed
ai tigli che proiettano l’ombra di una nuvola, dall’istante in cui il cormorano
riemerge dall’acqua, dall’immobilità dell’airone che è amico dell’orizzonte,
dalla casa per le barche sfasciata, che sta sprofondando. Dal porticciolo di
canne di bambù, dalla stalla dei cavalli che a volte viene invasa dal fango,
dalle ninfee che incontri a sorpresa in un piccolo stagno vicinissimo al mare,
dalla piccola conchiglia che si impiglia tra le dita mentre cammini.
Mentre pensava a tutte queste cose, camminava, scandendo i
passi con il ritmo musicale di quelle parole, riconoscendo ciò che diceva
dentro di sé all’esterno, immerso nella luce della luna. Toccando le fronde
degli alberi, le sue mani divennero fresche, bagnate dalla prima rugiada,
quella ancora segreta, che gli uomini non incontrano, ed i suoi orecchi si
fecero più sensibili ai rumori degli altri che vegliavano e si spostavano
durante la notte: un cinghiale, una cornacchia, alcuni daini. Gaspare si stupì
di poter essere così silenzioso e di mimetizzarsi tanto, nel buio. Si sentiva
spronato nell’andare avanti, superò i fossi ed infine sentì la cedevolezza
della sabbia sotto i piedi. Era così: la spiaggia era il sorriso argentato
della pineta, baciato dal mare che si protendeva e si ritirava, così impaziente
da avanzare in continuazione. Gaspare si inginocchiò ed accarezzò la sabbia,
alzò il capo e vide la luna, quasi piena, che splendeva in alto, nel cielo, dal
punto in cui Alice immaginava di guardare il padule dall’alto, avvicinandosi
alla costa da terre lontane.
Eccoti, mia cara.
Sorrise alla luna: finalmente l’aveva trovata. Ora non gli
restava che attendere che atterrasse sulle terre scintillanti per poi alzarsi
nuovamente in volo con lei e migrare.
Tornò sui suoi passi e la trovò, lì: nel loro letto, Alice
dormiva. Carezzò il suo viso pallido, che sembrava splendere di luce propria,
come la luna, come la aveva vista nel cielo, dopo che era sorta dalla pineta.
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2 commenti:
Ciao, nel mio blog c'è un premio per te, puoi passare a ritirarlo quando vuoi.
A presto !
Grazie... Mi fa molto piacere! :)
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