mercoledì 2 gennaio 2013

Appunti di viaggio...


La libertà…la libertà sta nel libero uso del linguaggio, nell’utilizzare coscientemente l’espressione estroversa ed introversa per comunicare la propria personalità.
Ho difficoltà a formulare discorsi, creare personaggi. Rimangono come fuochi fatui nella palude della mia immaginazione e non mi aiutano ad esprimere sentimenti. Un tempo, scrivere era per me il modo più intenso di esprimermi che mi permetteva di sentirmi ricolma di un sentimento reale. Il linguaggio scritto ed il redigere un discorso ha perso per me questo primato e questo mi è chiaro quando mi cimento in questa azione, che diviene in qualche modo l’espressione del mio struggimento nel silenzio della ragione di fronte all’inspiegato. Ho voglia di essere sintetica, ho voglia di esprimere un’idea o delle idee ma fatico a comprenderle all’interno di un discorso. In senso più letterale, molto spesso non comprendo il senso di queste idee, come se io stessa fossi un discorso e tra le mie estensioni linguistiche, la mia cultura e le cose nuove che sento di star costituendo mancasse un nesso fondamentale vacante a causa di una mia incapacità.

Non mi sento padrona del mio linguaggio, del mio stile, mi sento acerba ed l’idea del futuro mi angoscia perché appare come una dimensione peggiorativa del presente. Non so contro cosa ribellarmi –contro tutto –ma non so cosa sia davvero rinnovabile. Ogni cosa è d’aria ed indistruttibile perché incontrollabile. Il debito, il declino, la fame, l’industria, la politica. Non posso credere che il mio mondo rifletta continuamente su tali illusioni –debito, debito, debito, crisi, crisi, parole che vengono ripetute in continuazione. Come se per fare qualcosa noi ci si sentisse motivati solo in previsione dei soldi che ne verranno. Mi sveglio la mattina incredula e mi sento estraniata perfino dalle persone che mi sono più vicine perché c’è qualcosa di agghiacciante nel loro sorriso e nella loro soddisfazione, nella loro motivazione o non-motivazione per partecipare alla vita della comunità e dello stato, in ciò che loro interpretano e giustifica come istinti, sentimenti o cose della ragione. Tutte queste cose dà loro un odore di decomposizione. Mi sento eterna e labile in mezzo a loro, mossa da una corrente che loro non riconoscono. Mi sento destrutturata e denaturata –natura, che parola. Una parola a cui non so più dare un significato, se non aggrappandomi ai miei riecheggiamenti filosofici. Non so tramutare i miei pensieri in idee forti e vorrei chiedere aiuto ma le persone che vorrei raggiungere o sono morte o sono inarrivabili. Mi sento gravata dalla scorza della mediocrità e dell’anonimato, come le donne romane che non possedevano nome proprio, mi aggiro tra libri e foto nel disperato bisogno di riempirmi ma non sono mai sazia. 
Le parole ed i personaggi efficaci non spuntano mai e questo è snervante.
Ho perso le illusioni e con esse il grande potere dell’evocazione. Ho voglia di un sogno vero, di quelli sognati, da cui sgorghi un’idea vera, di quelle ideate, per intraprendere un combattimento che sia il senso stesso della realtà. Ho paura di morire per quello che potrebbe non avvenire prima.
Ho realizzato questa grande sfiducia e mi sento come il mio borsellino vuoto.

Vorrei passare accanto a Corrado Augias, a David Grossmann, a Charlotte Bronte, a Roberto Vecchioni, a Giorgio Basaglia ad un delfino e ad uno scimpanzé e chiedere loro come si sentono. Vorrei essere un sordo da sempre vissuto tra udenti che incontra un altro sordo e finalmente cominciare a parlare, esprimere i pensieri nella lingua adatta che si è stabilita nello stesso istante in cui la comunicazione è stata possibile. Vorrei leggere le parole da me scritte su una pagina e riconoscermi come mi accade con una fotografia che ritrae il mio viso. Lo sanno fare alcuni scrittori con me ma io non lo so fare con me stessa. E’ come se la mia voce provenisse dall’esterno e non dall’interno. E’ molto doloroso aver ammesso questo.
Desidero essere toccata da un bosone di Higgs.
Vorrei avere le parole per fare quello che mi piace. Le vecchie parole, quelle dell’adolescente, non vanno più bene. Sono alla ricerca di nuove parole. Sono molto spaventata dalla vuotezza di significato con cui molte di essere vengono usate nel mondo degli adulti. Mi spaventa la parola amore, la parola morte, la parola Dio, la parola separazione, la parola matrimonio, la parola gioia e dolore. 

Christina's World by Andrew Wyeth (1948)


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