giovedì 14 aprile 2011

Il faticoso gioco delle storie che si incontrano tra loro.

Circa sei anni fa tra le mura della mia casa si viveva un vero bordello. Nel senso che il caos regnava padrone, o almeno questa era la mia percezione dello svolgersi delle cose. Enumero solo alcuni dei fatti: estrogeni spinti al limite, mestruazioni molto irregolari, niente seghe e molto latino, acne importante, dubbi esistenziali, schizofrenia religiosa, super-IO tendente all'implosione, nessuna esperienza di shopping, amiche stupide, amori platonici, nonni a carico. Per essere molto riassuntivi e non perdere altro tempo su una raffigurazione di parti della mia adolescenza. In quei mesi di uggia invernale, nacque dalle mie mani, su questo portatile ancora in vita, l'incipit di un racconto. Mi correggo, vari incipit dello stesso racconto, forse due o tre. Giravano attorno a descrizioni molto colorite di una ragazza che amava l'arte e dal carattere fantastico che scappava di casa. La descrizione della casa silenziosa la mattina, lei che si incoraggiava cantando nella mente testi di canzoni, gettare qua e là aggettivi su questa protagonista che altri non era se non la sottoscritta. 


Da questi stralci semi-autobiografici ne nacque uno anomalo: la descrizione del sogno di una ragazza stanca del luogo dove viveva. Eppure, molto diversa da me: annoiata, apparentemente arida, ingrigita. Il suo essere inceppata pervadeva tanto la narrazione che mi bloccai dopo circa venti pagine: non avevo idea di come poter continuare il racconto. Non riuscivo ad immaginare cosa poter far di un personaggio così rinchiuso in sé stesso e alle prese con i suoi problemi. Questi ultimi si riflettevano all'esterno in un abbozzo di trama: questa ragazza viveva in un futuro in cui lo Stato aveva assunto caratteristiche simili a quello descritto nel libro 1984, di Orwell (nb: che all'epoca non avevo assolutamente letto.) 
Le uniche cose che sapevo erano due, e per quanto strano possa sembrare, si trattava di due nomi: Livia Tundari
Ero certa che si trattasse del nome della mia eroina. 
L'altro era Sorella Luna, che dette anche il titolo a quel racconto appena iniziato. 
Non sapevo come e perché, ma ero certa che quei due nomi rappresentassero la stessa protagonista in momenti diversi. 


Circa quattro anni dopo (per la precisione nell'inverno del 2010) ho ripescato dalla memoria alcuni personaggi che avevo creato per divertimento ispirandomi a conoscenti. Avevo portato le loro caratteristiche all'estremo, la bellezza, l'aggressività, la sensualità, e li avevo messi in una scatola sotterranea: una rete di bunker segreti nei quali vivevano come clandestini, come affascinanti farfallone notturne. Anche loro, non avevano una storia. 


Per gioco, nel 2010, Livia Tundari li ha incontrati. Non so per quale saggezza a me sconosciuta questo personaggio ha incontrato gli altri all'interno della mia mente, ma è stato un incontro fortunato. La trama è andata avanti, è nato qualcosa, uno spunto, un incipit vero, un senso al carattere di Livia e degli altri: il frutto di esso, le loro azioni in interazione. 
Il titolo del racconto è rimasto Sorella Luna. I nomi dei personaggi non sono cambiati. Possiamo dire che è stato un ricongiungimento fortuito e promettente. Per me almeno. Il giudizio poi a chi leggerà.


L'incipit del racconto:
 https://www.facebook.com/notes/cos%C3%AC-parl%C3%B2-sherazade/sorella-luna-incipit/218381454842592


PS: ho detto di essermi ispirata a conoscenti per inventare la seconda mandata di personaggi. Soltanto uno stonava da questo: ero decisa ad ispirarmi ad una persona ma non vi riuscii, mi sfuggì. Al suo posto, ne venne fuori un'altra, che all'epoca non conoscevo. Un tipo sconosciuto, che colpisce per una diversità che non si riesce a decifrare, e che con la conoscenza superficiale viene affidato a qualche luogo comune. Finché non si approfondisce. E' questo il personaggio che mi venne fuori. Ed è stato così che poi lo ho ri-conosciuto nella vita reale. :)



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