domenica 19 agosto 2012
Come è lecito parlare di una cosa del genere?
Comincerò con il dire che cosa ho fatto: ho letto un libro.
Ho letto L’immortalità di Milan Kundera. Non è stata una lettura facile, il
libro è complesso, non mi sento di designarlo con l’avverbio molto per la
grande plasticità della scrittura che trasporta verso l’avanti ed oltre la fine
del libro, nel futuro e verso l’ignoto. (Ah, e credo di doverlo dire...questo commento contiene spoiler!)
Vorrei cominciare con il dire che il narratore, Kundera
stesso, è un personaggio che si trova nel libro ed a volte ricopre un ruolo fondamentale
negli eventi del racconto, rendendosi causa, con le sue azioni e le proprie
motivazioni, di ciò che avviene ai personaggi. Rompe quell’illusione letteraria
del narratore a noi contemporaneo ed oggettivo, facendo parte di un tempo di
azione dei personaggi che non è il nostro. L’autore è con loro, è uno di loro.
E noi, che siamo come lui, che cosa siamo? Tutto il racconto e tutto il mondo
che vi ha luogo è parte della sua soggettività che è cosa tanto vera da
costituire il reale. Il professor Avenarius, un personaggio tanto tenero da
farmi venire voglia di abbracciarlo, ascolta il racconto di Kundera e ne fa
parte a sua volta, incontra i personaggi e li conosce di persona in luoghi dove
potremmo passeggiare noi stessi, Kundera, io e te. Ogni piano, quello del
racconto e quello della realtà finta sono collegati dalla casualità e dalla
contemporaneità.
Il caso che determina gli incontri e gli eventi dei
personaggi viene fatto risalire al caso quotidiano di Kundera, che ha la reale
conseguenza di mettere in moto la sua immaginazione. Il caso è l’immaginazione
che è la realtà. Non siamo altro che noi con la nostra miglior capacità
creatrice, di idee, di relazioni, di immaginare le menti degli altri, dei
morti, dei personaggi, dei conoscenti. L’Immortalità, sotto questo punto di
vista, è la generazione spontanea dell’invenzione, che determina anche la
supremazia della biografia sulla letteratura prodotta dagli stessi autori
Goethe ed Hemingway che si personificano in alcuni capitoli del racconto.
Goethe non risulta morto, coerentemente alla trama del romanzo, perché
continuiamo ad immaginare lui e ad imparare dall’immagine che rinnoviamo. La
dimensione storica in progressione è costituita dalla capacità immaginativa, ma
qui entra in scena il paradosso: l’immaginazione necessariamente lascia da
parte la coerenza e si rischia infine di imparare a spese di Goethe e di
stravolgere ciò che lui aveva vissuto nel suo presente. Così il mondo si popola
di asini integrali e di simpatici alleati dei propri becchini.
Per quel che riguarda la trama del libro, questa ripercorre
la storia del gesto, del saluto fatto con il braccio e con la mano dall’anziana
signora, dalla segretaria del padre, da Agnes e da Laura. La storia non ha un
lieto fine: interpretato da Laura e misinterpretato da Paul il gesto finisce
per morire per mano di coloro che non lo avevano compreso e chissà quando mai
tornerà a vivere. Vedo in quel gesto l’amore morente, essendo vissuto ormai
come personificazione completa e svuotato del suo assoluto, divenendo così
inspiegabile ed incomprensibile (l’amore non può essere spiegato con le
persone, l’amore c’è, esiste anche in assenza delle persone: l’amore esiste
oltre i confini dell’amore). Paul e Laura, uccidendo Agnes, hanno ucciso
l’amore. Nel romanzo si incontrano ancora molti altri gesti che si ripetono e
caratterizzano i personaggi e le idee di cui si costituiscono ambasciatori: il
gesto di Brigitte, osservato da Agnes all’inizio del romanzo, nello spogliatoio
della piscina, interpretato dalla ragazza simile ad un angelo: Brigitte e
l’angelo parlano concitatamente alzando le spalle e le sopracciglia
contemporaneamente, in un movimento che io immagino simile a quello del
coperchio sulla pentola che trabocca. È il gesto di coloro che sentono di star
difendendo il diritto umano, secondo la concezione illustrata da Kundera.
Non
si tratta di un vero e proprio gesto, ma possiede i personaggi come interpreti
con la sua stessa modalità: il rossore indotto dal pudore, che caratterizza i
due punti di maggior erotismo di tutto il romanzo.
I gesti sono tanto
importanti che l’eroina del romanzo, Agnes, nasce come la Venere rinascimentale
dal più dolce ed affascinante di questi: il gesto del saluto con la mano che ha
il potere di gettare un velo dorato ed irresistibile sulla realtà che si trova
attorno. Kundera descrive la sensazione che prova quando Agnes viene alla luce
da quel gesto, che lui ha osservato interpretato dalla signora sessantenne a
bordo piscina: la nostalgia. Kundera ha nostalgia di Agnes, Agnes nasce dalla
nostalgia. Questa sensazione che incontriamo al primo capitolo mi richiama con
grande forza un’affermazione di Paul che si trova nell’ultimo capitolo del
libro: la donna è il futuro dell’uomo. Agnes è la donna integrale, vera, che
sente il suo corpo come un corpo di donna e non come un vestito.
Dunque io direi che Agnes è il futuro dell’uomo, che la
nostalgia di Agnes è il futuro dell’uomo.
E questo è dimostrato dalla realtà, visto che Kundera ha
nostalgia di Agnes.
Il futuro è la nostalgia di Agnes (e della donna) perché
Agnes è morta, la donna è morta, uccisa e sostituita dal suo simulacro, Laura.
Paul ha dimenticato Agnes, non spende una sola parola per
lei e preferisce la sua nuova moglie alla vecchia, tuttavia è ancora possibile
che Agnes, la donna e l’amore, rinascano, se la nostalgia crea una sensazione
evocativa nell’uomo. Ed ecco che infatti, all’inizio del romanzo (e non alla
fine! E questo è molto importante perché l’inizio non è soltanto l’inizio del
romanzo, è un inizio assoluto, è l’inizio dell’immaginazione), Kundera ha
nostalgia della donna e dell’amore ed ecco che Agnes nasce, percorre la strada,
ha pensieri, si avvia verso il suo futuro. Purtroppo la storia è circolare,
perché una volta nata Agnes è destinata ad andare incontro alla morte e
piombare di nuovo nella dimenticanza, fino a che Kundera o chi per esso non si
distrarrà dal suo simulacro e la farà risorgere come l’araba fenice.
Agnes è la fautrice di notevoli pensieri e ragionamenti per
tutto il romanzo, tuttavia io ho trovato una sottile connessione a prima vista
non eclatante, tra lei ed un personaggio che sembra avere molto più a che fare
ad altri che si riferiscono al tema dell’immortalità.
Goethe stesso, Hemingway e Paul sostengono con decisione che
i biografi hanno preso il sopravvento sulla letteratura prodotta
consapevolmente dallo stesso autore.
L’unico passo in cui questa verità apparentemente
inconfutabile viene contrastata è quello in cui Agnes ricorda la poesia in
lingua tedesca che il padre le aveva insegnato e sulle parole della quale
solevano marciare durante le passeggiate in montagna: la poesia è riportata
integralmente e l’autore, Goethe, non viene nemmeno nominato!
In questa forma, la poesia acquisisce grande importanza per
Agnes ed il padre e lo spirito del Goethe reale viene perfettamente rispettato.
In questo passo, l’immortalità di Goethe non è illusoria, ma
è reale. Da qui si desume che nel libro è nascosta non tanto una teoria
sull’immortalità, ma una disputa tra l’immortalità silenziosa di chi apparentemente
sparisce, come Agnes e suo padre, ma può risorgere evocato dalla nostalgia
generata da un gesto o da una poesia, e l’immortalità apparente dei biografi
che rianimano continuamente le carcasse di Hemingway e Goethe per violentarli.
Un’altra cosa che mi ha colpito è l’assoluta predominanza in
questo romanzo dell’erotismo sull’amore: l’amore viene definito una volta
soltanto, nell’episodio di Goethe e Bettina, ed è identificato con la figura
del figlio. La paternità (o la maternità) può essere teoricamente rifiutata ma
viene involontariamente provocata nel momento in cui si vive un amore vero.
L’amore inoltre viene beffardamente fatto galleggiare sulle ardenti immagini
rispecchiate dagli eroi della letteratura europea, che sono incapaci di
conciliare l’amore vero con il sesso, relegando il primo ad un’esperienza
extracoitale (e sterile, separata dalla generazione del frutto naturale, il
figlio). Da questo paletto culturale, la triste fine come grassa morsicatrice
della possente moglie di Goethe, Christiane, che se Bettina non ha potuto
scacciare dal suo letto e dal suo tetto lo ha potuto fare, nella dimensione
dell’immortalità, la tendenza degli scrittori verso l’erotismo puro.
Collateralmente a questo argomento si svolge anche la storia
tra Agnes e Rubens: lei non pensa a lui neppure per un attimo, durante tutto il
romanzo. Lo nomina di sfuggita una volta come un volto anonimo, per il semplice
motivo che nel momento rievocato dalla sua memoria si trovava con lei. Ma a
quel punto del romanzo noi non sappiamo chi sia Rubens e non immaginiamo
nemmeno che gli sarà dedicato il lungo, penultimo capitolo, e dunque passiamo
sopra a questa fotografia con la stessa noncuranza con cui vi passa Agnes,
presa da ben altre riflessioni. Anche nel momento della morte, Agnes non lo
rievoca neppure per un istante. Rubens è il vero mortale e ne diventa
consapevole sul finale del capitolo in cui prende la parola.
Questo libro parla di morte e rinascita, che duettando cantano l’essenza
dell’immortalità. La morte dell’amore ed il momentaneo sopravvento del
simulacro detengono già in sé la rinascita dell’amore stesso (che non avverrà
alla fine, ma all’inizio, un inizio che sta sempre all’inizio anche se in
realtà è la fine), perché l’amore esiste, come i gesti, al di là dei confini
dell’amore che può essere vissuto nel momento corrente. In quanto a Goethe,
riposa anch’esso, ruht er auch, immortale, nei propri versi inimitabili che vengono rievocati
da una figlia, per amore del padre, senza che nemmeno lei si ricordi chi li ha
scritti.
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4 commenti:
Dio mio come sei profonda!
Non sono io, è Kundera! :)
Spettacolare recensione... ma continuo a non capire in che momento muore Agnes. Non possono averla uccisa veramente Laura e Paul!
Grazie! :)
Certo stando alla trama Agnes muore per uno sfortunato caso.
Tuttavia io mi riferivo al disinteresse di Paul e allo sfrontato desiderio di Laura di sostituire Agnes, che in conclusione ne provocano la maliconia e l'ultimo viaggio. Viaggio che sappiami bene a cosa approda.
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